Ai giardini pubblici un discreto uditorio ascoltava un uomo dall’aria furba dissertare sulla bontà della confessione. A suo dire – e in via del tutto teorica, s’intende – non esisteva nulla di così appagante come liberarsi dei propri peccati con un semplice gesto. La sua voce stentorea ancor più del tono m’infastidiva distogliendomi dalla lettura. Seneca, nella sua lungimiranza, avrebbe detto che quell’uomo stava perdendo il suo tempo. E noi che gli stavamo accanto il nostro, aggiungo.